martedì 17 gennaio 2012

Perché rileggendo scritti di due anni fa si ha la sensazione che a Galatina il tempo non scorra mai ?

Forse nessuno se ne accorge, ma la politica si è suicidata (di F. Rossi - Ffwebmagazine)


Qualunquismo, cinismo, retorica. E chi scrive il romanzo collettivo del futuro?

Nessuno se ne accorge perché, con palese rispetto delle regole di una società liquida come la nostra, l’evento non è uno solo, tragico, evidente. Uno di quei cataclismi ai quali ci si può opporre tutti insieme, con un ritrovato senso civico. Nessuno se ne preoccupa, invece, perché l’evento si è trasformato in tanti piccoli fatterelli che, presi singolarmente, non hanno alcun senso se non quello di una cronaca quotidiana, di un’inutile curiosità gossippara. Eppure, purtroppo, il fatto esiste comunque, ed è tutto in una frasetta: la politica si è suicidata.

Ecco qua, lo abbiamo detto. La politica si è uccisa perché non credeva più al suo ruolo e alla sua funzione. Si è sparata in vena un’overdose di qualunquismo, si è impasticcata di mancanza di prospettiva, si è impiccata alla corda della sfiducia, si è sparata una pallottola di puro cinismo. E così, quella che oggi passa per politica non è che un ectoplasma di quel che la politica dovrebbe essere, un avatar d’interessi altri che con l’agire per il bene comune non hanno nulla a che fare.

È per questo che la politica sembra, ogni giorno, darsi in appalto, svendersi per trenta denari. Perché, in realtà, i politici non fanno più il loro lavoro, non conoscono più i loro obiettivi, la loro natura. Tutti, in questo caso è la parola giusta, traditori che spendono la gran parte delle loro energie per difendere rendite di posizione, per cercare garanzie piuttosto che opportunità. E così la politica è morta sull’altare sacrificale delle finte appartenenze, della vuota retorica, degli interessi di parte, della mancanza di un destino, di un’utopia. Si è suicidata in nome degli apparati burocratici, delle correnti, delle candidature, delle carriere. Si è dimenticata di se stessa e dell’unica vera ragione per cui ha il diritto di esistere: cercare di scrivere quel romanzo collettivo chiamato futuro.

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